venerdì 30 settembre 2011

Mastrocola, perché non togliere il disturbo.

Nell’ampio dibattito sulla crisi della scuola italiana si è inserita Paola Mastrocola con il suo “Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare”, edito da Guanda. L’autrice, insegnante di lettere in un liceo scientifico della provincia di Torino, già conosciuta per una serie di contributi sulla scuola (come il pamphlet “La scuola raccontata al mio cane” e il romanzo “Una barca nel bosco”), esprime il suo punto di vista sulla scuola italiana attraverso una lucida e dettagliata analisi. Nella prima parte del saggio, infatti, la Mastrocola affronta uno dei problemi principali della scuola italiana, ossia il tasso di impreparazione degli studenti. La scarsa conoscenza della lingua italiana e il generale disinteresse degli studenti vengono analizzati con razionalità e con molta preoccupazione. Dalle problematiche quotidiane, condivisibili perché presenti, seppur in grado differente, in tutte le scuole, si passa alla seconda sezione, nella quale l’autrice si interroga sulle cause di questa crisi della scuola e sul “non studio”. Esse sono individuate nella presunzione di poter esporre sempre la propria opinione su qualsiasi argomento, anche se in condizione di assoluta incompetenza: questa libertà espressiva porterebbe, secondo la Mastrocola, i ragazzi a odiare, ad esempio, un autore come Torquato Tasso, giudicato noioso. Le origini di questa estrema libertà di opinione sono fatte risalire all’influsso del potere comunicativo dei mass-media, ormai imperanti nella società. Poi la Mastrocola individua anche altre cause: dall’emergere della pedagogia democratica all’influenza del pensiero di Don Milani, dall’adozione del sistema delle competenze fino alla trasformazione della scuola in un’istituzione tecnocratica, secondo i dettami dell’economia di mercato.
Alla luce di questa analisi si attenderebbero proposte innovative, in grado di restituire dignità alla scuola. E invece no: le riflessioni dell’autrice risultano, per noi, completamente insostenibili. Se uno studente ha voglia di studiare, ben venga; se non ha voglia, lasci perdere, faccia l’operaio, il facchino, il manovale, l’artigiano. Davanti a giovani amorfi, immersi in un sistema sociale privo di veri stimoli al sapere e condizionati da famiglie a loro volta calate in contesti sociali e comunicativi orientati ad “inculcare” sterili stereotipi, l’autrice predica la resa. La tesi è la rinuncia, innanzitutto al compito principale dell’insegnante: stimolare, far nascere la curiosità nei ragazzi, motivarli, dare loro tutte le opportunità e gli strumenti per sviluppare la passione per lo studio. Invece Paola Mastrocola giudica impossibile assolvere a un tale compito, se, prima, non si realizza una drastica condizione: la scuola torni a chi è più portato a frequentarla. Con il tono perentorio con cui la Mastrocola auspica questo abbandono dell’istruzione liceale si giustifica una precisa strategia di ordine economico e politico, volta a bloccare la mobilità sociale, uno dei cardini delle conquiste della scuola del ’68.
La critica dell’autrice nasce certamente dall’esperienza quotidiana di studenti provenienti da strati sociali che solo recentemente sono venuti a contatto con il sistema di istruzione liceale e privi, secondo l’autrice, di reali interessi per le discipline umanistiche. Nessuno nega che sia necessaria una precisa azione di orientamento per gli studenti, ma a quale età? E su quali basi che non riproducano una pura selezione sociale? L'insegnare, che la Mastrocola vorrebbe proteggere dagli afflussi indiscriminati, dalla mediaticità e dal permissivismo, rischia di consistere nell'abbandono dei compiti educativi e maieutici del fare scuola, nel ritorno del docente di ambito umanistico ad una concezione gentiliana, isolata, della cultura. Il vero insegnante ha di fronte a sé obiettivi difficilissimi, certamente, ma che, appunto, sono ciò che connota la professione: mettere tutti nelle condizioni di apprendere la materia, affinché gli studenti la apprezzino o la critichino anche ferocemente, studiandola. Tutte le discipline, sia quelle scientifiche sia quelle umanistiche, sono necessarie per lo sviluppo della persona umana. Chi invita a togliere il disturbo (si sarà mai messa in discussione, la Mastrocola?) difficilmente è cittadino di una scuola capace di trasmettere davvero la passione e formare le giovani generazioni. Ecco perché vorrei dire a Paola Mastrocola, provocazione per provocazione, che non vi sono particolari ragioni di preoccupazione se insegnanti così intendono togliere il disturbo.


Enrico Maria Polizzano